I walled garden minacciano gli Editori Premium: come è possibile riprendere il controllo?

 I walled garden minacciano gli Editori Premium: come è possibile riprendere il controllo?

Gli spazi editoriali premium hanno ancora un ruolo importante da svolgere in un panorama di incertezze legate ad AI, tensioni geopolitiche e disinformazione.

L’open web stesso è di fronte a una crisi. Stephanie Himoff, EVP of Global Publishers di Outbrain, analizza come gli Editori possono proteggersi dai walled garden e riconquistare il proprio pubblico.

Un leone si sveglia ogni mattina pensando: “Oggi devo solo correre più veloce della gazzella o morirò di fame”. In questa storia, i walled garden sono il leone che dà la caccia alle prede innocenti nell’open web. In questa lotta per la sopravvivenza, gli editori devono fare attenzione a non divenire la gazzella.

Da Facebook e Google ad Amazon e Apple, migliaia di editori stanno affrontando una crisi esistenziale dovuta ai walled garden. L’ultima violazione proviene dal referente un tempo più affidabile, Google, che ora sfrutta i contenuti degli editori per addestrare le funzioni dell’Intelligenza Artificiale e sottrarne poi il pubblico. Una recente ricerca di Press Gazette mostra che negli Stati Uniti a metà maggio sono stati prodotti dei testi scritti dall’IA per un quarto delle ricerche relative alle news, con la conseguenza che gli articoli editoriali sono stati spinti più in basso nella pagina.

Si prevede che da qui al primo trimestre del 2025 gli editori digitali subiranno un calo significativo: come possono i loro siti di notizie premium proteggersi dai walled garden e riconquistare i propri pubblici?

Reagire al caos con esperienze personalizzate e interattive 

I walled garden hanno davvero sconvolto un modello mediatico vecchio di 150 anni. Man mano che il comportamento dei consumatori cambiava, i media seguivano i bulbi oculari e non ci è voluto molto prima che lo facesse anche la pubblicità.

Le piattaforme social e i motori di ricerca come Google si sono evoluti fino a diventare spazi pubblicitari di grande successo, grazie alle loro esperienze mobile-first e basate sui feed, in particolare al cospetto delle generazioni più giovani. Se da un lato queste piattaforme possono offrire ai brand un’elevata reach e viewability, dall’altro la mancanza di una regolamentazione rigorosa comporta rischi crescenti per gli inserimenti pubblicitari.

Gli editori, invece, possono offrire un ambiente sicuro per i brand, utilizzando le metriche di attenzione per rispondere a esigenze di misurazione più cruciali, come il livello di investimento appropriato, le performance dei media e l’impatto del messaggio di marca sul pubblico.

Per tutelarsi davvero, gli editori devono andare oltre la messaggistica brand-safe e offrire esperienze personalizzate e interattive al proprio pubblico. Mentre ci dirigiamo verso la deprecazione dei cookie, gli editori sono chiamati ad essere creativi sia nel modo in cui utilizzano i loro dati di prima parte per proporre pubblicità pertinente e contestuale, sia nel modo in cui possono attingere al design del marchio per migliorare il customer journey. E quale modo migliore per catturare l’attenzione della generazione Z se non quello di offrirle un’esperienza in un formato che le è molto familiare? Gli editori possono imparare dalle piattaforme social, come Tiktok, soprattutto quando si tratta di contenuti video verticali. Un recente sondaggio ha infatti rivelato che oltre l’80% dei consumatori preferisce guardare i video sui propri cellulari: un cambiamento sismico che evidenzia la necessità per gli editori di abbracciare il movimento mobile-first.

Adottare una mentalità da rivenditore e diversificare le fonti di reddito

Un noto proverbio dice che “non bisogna mettere tutte le uova nello stesso paniere”. In altre parole, meglio non fare affidamento solo sulla pubblicità come unico flusso di entrate.

Per stare al passo con le trasformazioni digitali, gli editori devono considerarsi creatori di contenuti e comportarsi un po’ più come rivenditori, capitalizzando il proprio brand value. Come Time Out Magazine, che da editore indipendente è diventato un media brand globale e una vera potenza in materia di contenuti.

Da quando è iniziata la pandemia da Covid19, alcuni editori accorti hanno sfruttato le strategie di e-commerce, tra cui il marketing di affiliazione, gli eStore e i cataloghi digitali. Il marketing di affiliazione consente agli editori di guadagnare una commissione per la promozione o l’inclusione di un prodotto o servizio nel loro sito web. In questa casistica ricadono Tech Radar, What Hi-Fi? e Marie Claire che tra il 2019 e il 2022 hanno aumentato i loro ricavi da e-commerce di quasi cinque volte. Questo perché hanno avuto il vantaggio di godere della fiducia creata dai loro contenuti editoriali, il che significa che il loro pubblico è più propenso a fidarsi delle loro raccomandazioni di prodotti e servizi.

È inoltre saggio che gli editori non si affidino a un solo rivenditore quando esplorano una nuova strategia commerciale, perché in questo modo hanno un controllo molto limitato sul loro flusso di entrate. Meglio piuttosto che collaborino con una serie di rivenditori, per negoziare tariffe migliori e diversificare la loro strategia di contenuti, includendo articoli incentrati sulla SEO e post di deal ‘social-first’.

Gli editori potrebbero d’altro canto tentare di seguire la strada di Wikipedia e fare appello alla generosità dei consumatori con una pagina di finanziamento o con un modello di iscrizione dei lettori di successo come quello del Guardian.

L’intelligenza artificiale sarà probabilmente la soluzione per gli editori

L’impatto dell’IA sull’editoria e sui media è molto simile a quello che si ebbe quando i social media salirono alla ribalta e gli editori erano ansiosi e incerti riguardo all’ascesa del citizen journalism.

Si prevede che entro il 2030 l’IA sarà un’industria da 1,8 miliardi di dollari. Come nel caso dei social media, la crescita e il potere dell’IA non possono essere ignorati, neppure dagli editori. Le grandi aziende tecnologiche avranno indubbiamente un vantaggio sull’IA, date le loro dimensioni e capacità. Ma gli editori possono tutelarsi adottando proprio ciò che minaccia la loro esistenza. L’IA può infatti supportare l’automazione della redazione, la cura e la gestione dei contenuti, la SEO, la traduzione e l’elaborazione linguistica. Può anche analizzare il comportamento umano in tempo reale e gli insight per offrire esperienze personalizzate (in velocità) e ottimizzare il posizionamento degli annunci.

L’IA non eliminerà la necessità dell’apporto umano nell’editoria, ma può migliorare i processi ed eliminare i compiti più banali per concentrarsi maggiormente su contenuti di più ampio livello. Chi abbraccerà l’IA, cambiando il proprio modo di operare, avrà maggiori probabilità di sopravvivere e prosperare.

È chiaro che, nonostante la potenziale acquisizione da parte di grandi aziende tecnologiche, gli spazi editoriali premium hanno ancora un ruolo importante da svolgere nell’offrire ambienti ad elevata attenzione, attenti alla privacy e autentici. Esattamente ciò che i brand cercano in mezzo all’incertezza tecnologica, alle tensioni geopolitiche e alla disinformazione.

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