Il supercomputer più potente al mondo all’opera per combattere il coronavirus

Si chiama Summit è stato interamente realizzato da Ibm ed è in esercizio presso l’Oak Ridge National Lab del Tennessee. Ormai da qualche giorno è diventato una delle armi che gli americani stanno utilizzando per combattere l’epidemia del Coronavirus. Come? Sfruttando le sue enormi capacità di calcolo per effettuare le complesse elaborazioni, che potrebbero condurre all’inibizione del virus in brevissimo tempo.

La potenza computazionale di questo supercomputer, il primo della classe al mondo grazie a suoi 200 petaflop di picco (equivalenti a 200 milioni di miliardi di calcoli al secondo) è già servita a raggiungere un importantissimo risultato. Con Summit, infatti, i ricercatori hanno potuto simulare circa 8mila composti nel giro di pochi giorni e modellare i parametri che potrebbero influire sul processo di infezione del Covid-19, identificando 77 “chiavi” per comprenderne il meccanismo di trasmissione e per individuare, soprattutto, le soluzioni per comprometterne la capacità di aggressione delle cellule umane.

Macchine per il supercalcolo, Big Data, intelligenza artificiale e machine learning, insomma, sono una delle strade da battere (e quanto fatto in Cina e Corea del Sud lo conferma) per contrastare il contagio e aiutare i ricercatori e le autorità sanitarie a districarsi tra miliardi di dati e identificare le misure correttive più adeguate.

Nel caso dei supercomputer, in particolare, non è certo una novità l’apporto prestato alla comunità e alla ricerca scientifica. Sedici anni fa, Blue Gene di Ibm, il primo esemplare capace di operare su base “petascale”, giocò un ruolo decisivo nel sequenziamento del genoma umano da cui sono nati nuovi farmaci, permettendo di simulare circa l’1% della corteccia cerebrale (contenente 1,6 miliardi di neuroni con circa 9 trilioni di connessioni) e aumentando considerevolmente il livello di comprensione del cervello umano.